Mille aghi
intersecano al suolo,
milioni di
scintille sono riflesse dal bagliore del sole su di essi;
mille aghi
rimangono al suolo immobili,
un’immensa distesa
di gioco dello shanghai.
Mi chino e
ne estraggo rapidamente uno,
sono
travolto da uno tsunami ad effetti domino.
Non ho
considerato prima la posizione degli altri.
Avrei potuto
farmi male,
avrei potuto
non trovare la giusta soluzione all’enigma.
Al mio collo
però dondola un pendolo e ormai l’ho fatto …
L’ho fatto
oscillare uscendo dall’apatia comune.
Non sono più
una bambola vudù in mano a loro,
riesco
finalmente a strapparmi gli aghi di dosso
e ad
abbandonarli lungo il mio cammino.
Il mio
sangue e quello di noi comuni ne ungono le punte,
dal primo
estratto cade una goccia vicino ai miei piedi,
si estende
ad una grande pozza, nella quale riesco a rivedermi
-
Avevo sei
anni e stavo in riva al mare dell’adriatico, gli altri bambini giocavano a fare
dei castelli di sabbia e si divertivano nell’acqua con palloni, schizzate,
tuffi, corse, nuotate …
Io invece me
ne stavo assorto nelle mie riflessioni, in mano un pugno di sabbia che lasciavo
lentamente scorrere a granuli verso terra.
Osservavo i
singoli granelli mentre come in una clessidra scandivano il tempo dei miei
pensieri. In quel momento si avvicinò un amico di mio padre.
“Mirko che
fai qui, vuoi costruire un castello di sabbia?”
Avevo dunque
destato un’attenzione alla mia causa, non che ne fossi interessato anche perché
le risposte le volevo trovare da solo, ma mi convinsi che forse un adulto avrebbe
potuto guidarmi verso una giusta soluzione.
“ No in
realtà mi stavo chiedendo da cosa fosse composta la sabbia, hai mai notato che
ha mille colori, ma da lontano sembra marroncina?”
Ugo, così si
chiamava l’adulto, rimase un po’ sorpreso della domanda e mi raccontò storie
studiate all’università riguardanti sali, conchiglie, parti di gas e mille
altre cose che non ricordo e non ho la minima intenzione di andare a rivedere
sulle enciclopedie.
Io in realtà
ci vedevo tutt’altro.
Io all’interno
della sabbia vedevo l’oro, così scintillante da poter far riflettere l’intera
spiaggia.
Vedevo i
colori del mare mi sembrava di scorgerne all’interno distese di oceani con
esseri viventi molto più piccoli di noi.
Non solo mi
sembrava addirittura che ogni piccolo granello avesse un proprio microcosmo
interno pieno di vita.
“Dai
facciamo un castello di sabbia che sicuramente è più divertente.”
A
distogliermi dai miei pensieri ovviamente era l’amico di mio padre.
Mi misi con
lui a lavorare la sabbia e non pensai oltre.
-
Purtroppo
diventare adulti vuol anche dire chiudere gli occhi ai sogni, serrare la mente
ai nostri obblighi, sbarrare le porte del carcere della nostra società,
entrando a far parte del comune schiavismo inconsapevole.
Mi sbaglio?
Illuminatemi
voi allora che parlate con bocche manipolate da persone delle quali nemmeno
conoscete l’esistenza!
Io ora
lentamente cercherò di tornare ad essere un bambino, per avere la mente libera
come in quel preciso istante in cui, solo con me stesso, stavo seduto sulla
spiaggia ad osservare la sabbia e a cercare di capire.
Per fare ciò
dovrò affrontare un ago alla volta, con calma e dedicandoci molta attenzione,
per non smuovere irrimediabilmente tutti gli altri.
Osservo
nuovamente bene il primo e mi ritrovo nel nulla, in mano un pugno di sabbia …
Un’espressione
che forse qualcuno ha coniato per forviarci.
Io questa
volta adulto ma con la capacità di osservare.
Allento
leggermente la presa ed un singolo granello argenteo ne fuoriesce dal basso,
mentre cade, riesco ad osservarlo in tutto il suo splendore.
Uno specchio
che riflette il mio viso.
Ne seguono
molti altri di granelli in caduta ma nessuno con lo stesso colore, odore o
forma. Differiscono l’uno dall’altro in maniera eclatante.
L’oro che
vedevo da piccolo lo riesco a scorgere ancora, mi racconta storie di ville
immense, di piscine, di viaggi,di specialità da degustare, di sport, di
politica, di mare, di montagna, di agi, di …
Aspetta ...
le immagini cominciano a sbiadire ….
Sono avvolto
dalle nubi, mi circondano, m’intrappolano, mi abbracciano.
Le nuvole si
tingono di rosa e prendono forma.
Sono forti,
sono sensibili, sono materiali, sono delle braccia.
La cosa più
preziosa è e rimarrà sempre l’affetto che viene espresso da una coccola, da un
sorriso o da una semplice carezza. Il bisogno del contatto con il calore
corporeo, la smania nel sentirsi sempre protetti o ancora l’odore dell’amore.
Un gioiello
che non si perde nel tempo, una pietra preziosa che non può invecchiare. Era
questo, che vedevo nell’oro.
Mi concentro
ora sul blu oceano e penso a quanto sia vasto il mare. Penso a quanti esseri,
che nemmeno ancora conosciamo, stiano migliaia di leghe sotto allo stesso. Mi
concentro sul colore che lascia sulla sabbia e me ne domando il perché.
Forse perché
vuole mandarci qualche segno tangibile della sua immensità in qualcosa che
possiamo afferrare con mano?
Forse perché
desidera indurci ad osservarlo più da vicino proprio per farci capire che esso
è molto più capibile di quanto noi stentiamo a credere?
O Forse
semplicemente vuole dirci che in ogni parte di noi vi è un oceano.
Una vita
nelle minime cose che ci compongono.
Pensiamo ad
una cellula per esempio: parte infinitesimale del nostro organismo con vita
propria.
Qui con i
miei pensieri mi collego all’ultimo ragionamento fatto da piccolo: Ogni
granello mi sembrava avesse una vita propria come un piccolo microcosmo.
Osservo più
nel dettaglio e vedo animaletti microscopici muoversi. Esseri talmente piccoli
da stare in migliaia in un singolo granello. Non uso gli occhi per vederli, sia
ben inteso, apro semplicemente la mente che sempre tenevo chiusa a chiave. Ammiro questa meraviglia e mi nasce spontanea
una riflessione:
“Se anche
noi fossimo il piccolo microcosmo di qualche essere gigante superiore?
Se vivessimo
in un granello chiamato, non a caso, pianeta terra?”
L’universo è
infinito per noi
Bene se è
questo il punto di partenza, allora per un attimo provo a pensare a cosa
quell’essere microscopico veda quando io prendo la sabbia in mano.
È uno sforzo
notevole arrivare ad immedesimarsi.
Mi sento restringere,
risucchiare in un vortice e chiudo l’occhio della mente un attimo. Nel momento
in cui lo riapro, mi trovo solo in riva al mare di notte. Osservo il cielo
nero. Guardo oltre e vedo l’oscuro universo adornato di qualche stella qua e
la. Ho paura del buio, semplicemente perché non riesco a scorgere cosa esso
celi. Ho timore dell’oscurità perché tutto ciò che non si conosce, è
pericoloso. Ho un sentore che quella pece nasconda milioni di segreti.
È proprio
così dunque …
Anche quei
piccoli esseri vedono quello che viviamo noi, ma allo stesso modo nostro non
riescono a scorgerci, perché siamo troppo grandi da essere considerati viventi,
siamo semplicemente struttura portante del loro pianeta.
Ammirano
i nostri punti più in
luce, le nostre stelle, tra le quali sicuramente i tre pilastri: fede, forza e
carità. Io tuttavia credo che ancor più
notino: saggezza, onestà e amore. In queste virtù ricreano le loro
costellazioni e noi diventiamo il loro universo immenso ed impensabile.
Un (i) verso
…
la nostra
mente va in un'unica direzione, alla fine come le bussole indica sempre e solo
una strada, la più fredda, quella verso il nord. Effettivamente basta estrarre l’ago dal suo
contenitore per poterlo lanciare in ogni direzione. Se dunque riuscissimo a toglierlo
dal nostro corpo, potrebbe viaggiare in modo ellittico come ha fatto nei miei
pensieri. Devo sforzarmi di togliere ogni altro dubbio dal mio corpo dunque, e
capire altro, realizzare ciò che finalmente potrebbe rendermi libero.
“Voglio
tornare bambino sarebbe tutto più semplice …”
Quante volte
ho pensato a questa frase nella mia vita!
“Voglio
diventare grande per loro è tutto più facile …”
Una sottile
differenza è racchiusa in questi due pensieri, l’adulto ricerca la serenità, il
piccolo la conoscenza .
Non dovrebbe
forse essere il contrario?
by Mirko Delgrossi